Intrepida, saggia, brillante, Wonder Woman, figlia di Ippolita, regina delle Amazzoni, è la prima supereroina del fumetto mondiale. Fa la sua comparsa all’inizio degli anni ’40 sulle testate della National Allied Publications, la stessa casa editrice di Superman e Batman, che di lì a poco sarebbe diventata DC Comics. La inventa uno psicologo, William M. Marston, che fa presente all’editore l’assenza di personaggi femminili nelle sue produzioni. I primi disegni sono di Harry G. Peters. È il 1942, e il successo è clamoroso. Un numero sempre crescente di donne si identifica in questo nuovo personaggio forte e indipendente, al punto che può essere annoverato fra i primi simboli del femminismo. Nel 1944 Marston si ammala gravemente e, in segreto, viene sostituito da una diciannovenne, Joye Hummel, che lavora alacremente fino al 1947. Prima donna a scrivere per l’eroina, all’epoca non ottiene alcun riconoscimento. Negli anni successivi Wonder Woman supera tutte le crisi editoriali e le crociate puritane americane degli anni ’50. Il personaggio evolve, acquisisce nuovi poteri, diventa protagonista di adattamenti cinematografici e televisivi (l’interpretazione forse più famosa è quella di Linda Carter, nella serie 1975-79), si lascia alle spalle le lotte contro i nazisti ma continuerà a difendere senza tregua la vita, la libertà e la pace dell’umanità, grazie, oltre che ai superpoteri e all’abilità di guerriera, a quella che, per molti, è la sua principale qualità: la capacità tattica, cognitiva e strategica.